Ininfluente disattendere circolari ministeriali in materia tributaria in quanto non sono fonti di diritto. L’accordo di ristrutturazione dei debiti, anche se omologato, è soggetto a imposta di registro come un qualsiasi accordo privatistico.
22 Dicembre 2021Responsabilità degli amministratori per prosecuzione dell’attività di impresa nonostante la perdita integrale del capitale sociale e quantificazione del danno
19 Gennaio 2022Con la sentenza n. 24045 del 6 settembre 2021 la Corte di Cassazione affronta la tematica relativa alla responsabilità del collegio sindacale, ribadendo il consolidato orientamento in ordine al tipo di responsabilità dei sindaci ed ai relativi presupposti.
Contro la sentenza di condanna al risarcimento dei danni per violazione dei doveri di controllo e vigilanza pronunciata dalla Corte d’appello di Palermo, i sindaci di una società cooperativa a r.l. proponevano ricorso per Cassazione sostenendo che, stante la successione in carica di due collegi sindacali nel periodo oggetto di causa, ciascuno di questi potesse rispondere «soltanto delle omissioni relative alla sua durata in carica, restando esclusa una responsabilità per il periodo successivo del primo e per quello antecedente il secondo».
Come noto, l’art. 2407 cod.civ. prevede una una summa divisio tra responsabilità esclusiva dei componenti del collegio sindacale e responsabilità concorrente con quella degli amministratori.
Il primo comma di detta norma prevede che i sindaci siano obbligati, in forma solidale tra loro, al risarcimento dei danni imputabili al mancato ovvero negligente adempimento dei propri doveri, secondo un modello di responsabilità esclusiva. Viceversa, ai sensi del comma successivo, i sindaci sono solidalmente responsabili con gli amministratori per fatti ed omissioni compiuti da quest’ultimi, secondo un modello di responsabilità concorrente, qualora il danno non si sarebbe verificato se avessero ottemperato ai propri obblighi in termini di vigilanza sull’osservanza delle regole, di controllo dell’amministrazione societaria e verifica della corretta tenuta della contabilità sociale, nonché della corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri contabili.
La sentenza in commento specifica che, nonostante l’art. 2407, secondo comma, cod. civ. ricorra all’espressione “il danno non si sarebbe prodotto”, essa debba essere intesa come riduzione o attenuazione, in termini probabilistici, del fatto lesivo. Il collegio sindacale, infatti, è privo di poteri di veto sull’attività del consiglio di amministrazione, nonché di poteri sostitutivi in caso di inerzia, dunque non può impedire totalmente la produzione del danno.
Il provvedimento richiama il consolidato principio per cui il nesso di causalità tra l’inadempimento dei sindaci ed il danno cagionato dalla mala gestio degli amministratori debba essere interpretato dimostrando che in assenza del primo evento nemmeno il secondo si sarebbe verificato. La responsabilità concorrente dei sindaci, pertanto, si fonda sull’accertamento del giudice che, di volta in volta, deve riscontrare se questi ultimi si siano attivati con gli strumenti di reazione previsti ex lege, dopo aver riscontrato il comportamento illecito degli amministratori.
In particolare, la Corte precisa che i sindaci possono fare in modo che venga verbalizzato il proprio dissenso nelle adunanze del collegio, chiedere chiarimenti al consiglio di amministrazione, provvedere ad atti di ispezione e controllo, convocare e partecipare alle riunioni del consiglio di amministrazione eventualmente anche verbalizzando il proprio dissenso ed impugnando deliberazioni nulle o annullabili nonché, nei casi più gravi, formulare esposti al Pubblico Ministero.
Ne deriva che la responsabilità concorrente dei sindaci non operi in maniera automatica per fatti dannosi derivanti dalla mala gestio degli amministratori, ma piuttosto presupponga la violazione dei doveri e delle forme di reazione in termini di poteri istruttori ed impeditivi previsti dalla legge.
La Corte fornisce una soluzione convincente anche in ordine al tema del vincolo di solidarietà di cui all’art. 2055 cod. civ., specificando che il carattere solidale della responsabilità e l’unicità dell’obbligazione dipendono da un’esigenza di tutela del danneggiato in presenza di un fatto dannoso unico, seppur causato da condotte plurime.
Invero è noto che quando il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno (art. 2055, primo comma, cod. civ.), principio posto dalla legge in modo espresso in materia di responsabilità extracontrattuale ma che pacificamente vale anche per la responsabilità contrattuale quand’anche il danno derivi dall’inadempimento di contratti diversi, ovvero quando la responsabilità abbia per alcuno dei danneggianti natura contrattuale e, per altri, natura extracontrattuale.
La conclusione che precede trova appunto ragione in un’esigenza di tutela del danneggiato, laddove mentre l’art. 2043 cod. civ. fonda la responsabilità e l’obbligo del risarcimento dalla commissione di un “fatto” doloso o colposo, il successivo art. 2055 cod.civ. considera, ai fini della solidarietà nel risarcimento stesso, proprio il “fatto dannoso”. Pertanto, come correttamente evidenzia la decisione in commento, la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055, primo comma, cod. civ. L’unicità del fatto dannoso va intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato ed in funzione di rafforzare la garanzia di quest’ultimo, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno.
In conclusione, presupposto per l’operatività dell’art. 2055 cod.civ. è l’unicità del fatto dannoso alla cui produzione abbiano concorso diverse persone; diversamente tale responsabilità solidale non ricorre nel caso di azioni di più soggetti da cui siano derivati distinti effetti dannosi. In ogni caso, secondo la Corte “la quantificazione del danno ancorata dalla Corte territoriale ad una sommatoria di fatti specifici distribuiti nel tempo, (…), non può essere comune ed indistinta fra tutti i sindaci, ma deve tenere conto del rispettivo contributo causale a tali fatti”.