Per ricostruire il reddito di una società attraverso l’accertamento induttivo “puro” di cui all’art. 39, comma 2, del DPR 600/73 non occorre che le gravi irregolarità siano relative a scritture contabili la cui tenuta sia obbligatoria. Nel momento in cui il soggetto redige tale documentazione, infatti, egli è tenuto a inserirvi i dati corretti poiché la stessa è astrattamente idonea a essere utilizzata dall’Ufficio ai fini della verifica e a fondare l’accertamento in caso di esito negativo del controllo.
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito ad un accertamento ai danni di una società a responsabilità limitata. Alla luce dell’inaffidabilità delle scritture contabili e dell’assenza di riscontro documentale e contabile delle giustificazioni addotte, si era ritenuto che la sopravvalutazione delle rimanenze di magazzino celasse in realtà operazioni non contabilizzate e in specie acquisti, quanto alle rettifiche inventariali positive, e cessioni di beni, quanto a quelle negative.
La società giustificava l’inattendibilità delle rimanenze con la circostanza che essa non fosse tenuta alla contabilità di magazzino ex art. 14 comma 1 lett. d), DPR 600/73, e che perciò i dati in essa contenuti non fossero corretti, ma solo ricostruiti e frutto di incerte elaborazioni a posteriori.
La Suprema Corte ha osservato che l’art. 39, comma, 2 lett. d), D.P.R. 600/73, facendo riferimento alle sole omissioni e “false indicazioni accertate ai sensi del precedente comma” (che prevede gli accertamenti analitici e analitico-induttivi), ovvero alla gravità, numerosità e reiterazione delle “irregolarità formali delle scritture contabili” tali da renderle inattendibili nel loro complesso “per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica”, non fa alcuna distinzione fra scritture obbligatorie o meno. L’obbligatorietà o meno della tenuta delle scritture contabili non esonera, infatti, il contribuente dal dovere di inserirvi dati corretti, pena la violazione del principio civilistico della rappresentazione veritiera e corretta (così come già affermato da Cass. 30 novembre 2020, n. 27334). È, anzi, l’onere della corretta tenuta di tutte le scritture contabili a incidere sulla stessa ammissibilità dell’accertamento induttivo puro, posto che la nozione di scritture contabili ricomprende tutti i documenti che registrino, sia in termini quantitativi che monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore e il risultato economico dell’attività svolta.
Da ciò consegue che, quando i dati contenuti nelle scritture contabili, obbligatorie o meno, siano assolutamente inattendibili e tali da inficiare l’utilizzabilità anche di quelli apparentemente regolari, l’Amministrazione finanziaria può prescindere del tutto dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili e determinare l’imponibile sulla base di elementi meramente indiziari, inidonei ad assurgere a prova presuntiva ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c. ma costituenti presunzioni «supersemplici», ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ponendo a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria, ossia di dimostrare di non avere conseguito il reddito accertato ovvero dì avere conseguito un reddito inferiore a quello indicato dall’ufficio.
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