Necessario un vantaggio fiscale indebito al fine di configurare un abuso di diritto
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11 Maggio 2022La Corte di Cassazione, con sentenza del 5 maggio 2022, n. 14210 ha affontato la questione “se, ed a quali condizioni, sia legittimo l’utilizzo a copertura delle perdite di esercizio – in tal modo rendendo lecita l’operata ripartizione di utili ai soci, cui invece, ai sensi dell’articolo 2433 c.c., comma 3, non potrebbe farsi luogo in presenza di perdite “fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente” – la riserva non distribuibile costituita, ai sensi dell’articolo 2426 c.c., comma 1, n. 4, mediante la valutazione secondo il criterio del patrimonio netto, in luogo che in base al criterio del costo di acquisto prescritto dal n. 1 della medesima disposizione, delle partecipazioni in societa’ controllate, la quale abbia fatto emergere una plusvalenza iscritta nella detta riserva“.
Dopo aver rilevato che nella redazione dei bilancio si fronteggiano “da un lato, l’esigenza tradizionale che non sia sovrastimato lo stato economico-finanziario della societa’, al fine di tutelare l’affidamento dei terzi nella solidita’ dell’impresa, che ispira il criterio generale della c.d. prudenza; dall’altro lato, l’esigenza, di piu’ recente emersione, di non sottostimare detto stato, allo scopo di permettere l’evidenza dei valori reali dell’azienda, che sta alla base del criterio del c.d. fair vacue e di tutti quelli, analoghi o derivati, che ad esso si riconducono“.
La Corte rileva, peraltro, che la recente legislazione evidenzia “segnali che ridimensionano la funzione del capitale sociale; questo, peraltro, pur nell’indubbia evoluzione subita nell’ordinamento positivo, mantiene la perdurante funzione di garanzia per i creditori circa la consistenza patrimoniale minima della societa’ e, soprattutto, palesa una funzione organizzativa rilevante, in quanto parametro di riferimento di numerosi precetti“.
In ogni caso, ai redattori del bilancio si chiede “di individuare il modo piu’ aderente ai principi di correttezza, verita’ e chiarezza per fornire la rappresentazione contabile dell’elemento considerato, nel rispetto delle regole poste dal legislatore, tanto piu’ quando dettate a controbilanciare un particolare criterio di valutazione o stima“.
Con specifico riferimento alla valutazione delle immobilizzazioni consistenti in partecipazioni, la Corte rileva che secondo “l’articolo 2426 c.c., n. 1, le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione, mentre il n. 4 della disposizione permette che le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate siano valutate “per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonche’ quelle necessarie per il rispetto dei principi indicati negli articoli 2423 e 2423-bis”“.
Dopo aver analizzato il trattamento delle perdite, la Cassazione rileva che “se il capitale e’ tuttora elemento preservato dal legislatore, in vista delle funzioni che gli competono, allora va confermato il principio secondo cui esso puo’ essere eliso dalle perdite solo dopo l’assorbimento delle riserve, intaccate pero’ dalle perdite sulla base di un ordine successivo, il quale comporta l’imputazione delle medesime secondo una progressione rigida: dalla riserva meno vincolata e piu’ disponibile alla riserva piu’ vincolata e, quindi, meno disponibile“.
In tal senso è stato confermato quanto precisato da Cass. 6 novembre 1999, n. 12347 secondo cui “le disponibilita’ della societa’ devono essere intaccate secondo un ordine che tenga conto del grado di facilita’ con cui la societa’ stessa potrebbe deliberarne la destinazione ai soci. Al riguardo, il capitale sociale ha, dunque, “un grado di indisponibilita’ maggiore di quello relativo alla riserve legali, laddove le riserve statutarie e quelle facoltative create dall’assemblea sono liberamente disponibili”; pertanto, “debbono essere utilizzati, nell’ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quelle legali e, da ultimo, il capitale sociale“.
Ha quindi ribadito che le riserve “sono destinate a costituire un presidio avanzato del capitale medesimo” (Cass. 17 novembre 2005, n. 23269) e che “i “diversi strati” del netto, poiche’ sono progressivamente piu’ vincolati a garanzia dei creditori, possono e devono subire le decisioni dei soci di intaccarli nell’ordine (sopra indicato), restando preclusa ai soci la possibilita’ di far gravare le perdite sul netto meno vincolato, sino a quando esistono parti di netto meno vincolate o non vincolate” (Cass. 2 febbraio 2007, n. 8221).
La Cassazione, pertanto, ha confermato “il principio, secondo cui le riserve appostate al passivo dello stato patrimoniale di una societa’ di capitali possono essere imputate a riduzione delle perdite (salvo diversa specifica previsione normativa) solo in un ordine di progressiva minore disponibilita’, da ultimo residuando, in tal caso secondo le maggioranze dell’assemblea straordinaria, l’operazione di riduzione del capitale sociale“.
Viene quindi rilevato che l’obbligo “d’iscrivere una riserva non distribuibile da plusvalenza nelle immobilizzazioni, consistenti in partecipazioni in imprese controllate, trova la sua ratio nel fatto che si tratta di valore ancora non realizzato” e “la valutazione delle partecipazioni sociali e’ problema complesso per gli economisti aziendali, avendo la dottrina economica da tempo concluso che nessun metodo da’ certezza di attendibilita’ assoluta, trattandosi sempre di individuare la migliore approssimazione verso una valutazione effettivamente adeguata (Cass. 21 luglio 2016, n. 15025)“.
Si evidenza, al riguardo, che tutte “le volte che il legislatore supera il criterio prudenziale e permette l’emersione di valori positivi semplicemente in forza dell’utilizzo di un certo criterio di valutazione, e non per utili effettivamente conseguiti, egli si fa invero carico, altresi’, di predisporre delle cautele“, come l’iscrizione in una riserva non distribuibile.
Rileva la Corte che nell’ambito “delle poste del patrimonio netto, pertanto, se si puo’ aderire all’opinione secondo cui la riserva da plusvalenza del valore delle controllate e’ utilizzabile a copertura delle perdite, tuttavia proprio per evitare l’effetto indiretto di derogare di fatto al regime della indistribuibilita’ e’ necessario che, per la regola della graduazione delle voci iscritte al patrimonio netto, difettino in bilancio poste del netto piu’ liberamente disponibili. Onde essa potra’ essere utilizzata per ridurre o eliminare le perdite soltanto dopo ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio, ma prima del capitale; in mancanza, si verificherebbe la “liberazione” della riserva dal suo status di maggiore tutela, prima che le altre riserve siano state utilizzate a tal fine, in dispregio della ratio della disposizione“.
Anche in caso di redazione del bilancio d’esercizio secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS, “le riserve derivanti dal metodo del patrimonio netto o da quello del fair value sono utilizzabili solo dopo le riserve disponibili e la riserva legale, in quanto riserve da utili realizzati, anteposte a quelle da utili non realizzati. Pertanto, il principio prudenziale ha consigliato di prevedere si’ la facolta’ di utilizzare, per la copertura delle perdite di esercizio, le riserve indisponibili derivanti da dette plusvalenze: ma pur sempre dopo l’imputazione a riduzione delle perdite di ogni altra riserva in bilancio, ivi compresa la riserva legale“.