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Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla validità dell’appello proposto dai dipendenti di una banca contro le sentenze emesse in merito alle opposizioni allo stato passivo nell’ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa.
A riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che, poiché l’art. 88 T.U.B. (nel testo ratione temporis applicabile, nel rinviare soltanto ai commi 4 e 5 del precedente art. 87, non prevede il rinvio anche al comma 2 dello stesso articolo regolante la modalità di proposizione della domanda nella forma del ricorso, ne deriva la conseguente necessità – secondo la disciplina generale – del rispetto della forma dell’atto di citazione per l’instaurazione del giudizio di secondo grado, anche in considerazione della previsione del citato comma 4 dell’art. 88, che pone esplicito riferimento, per quanto non espressamente disposto, alle disposizioni del codice di procedura civile sul processo di cognizione e, pertanto, all’art. 342 cod.proc.civ.
Pertanto, pur costituendo l’opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa un’azione tipica del fallimento (seppure abbia ad oggetto diritti riconducibili a rapporti di lavoro), anche se l’art. 87 T.U.B. prevede che il giudizio di primo grado debba essere introdotto con ricorso da depositarsi nei 15 giorni, l’atto di appello deve essere formulato con atto di citazione, che va notificato nel termine di 15 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado del Tribunale fallimentare.
Da ciò consegue la tardività dell’atto di appello che sia stato solo depositato nel termine di 15 giorni ma notificato alla parte appellata oltre il decorso dello stesso termine, senza, quindi, che – a fronte della maturazione di tale decadenza processuale – possa venire in rilievo l’applicabilità del principio generale del raggiungimento dello scopo.
Per questi motivi, la Corte ha rigetta il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.