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8 Aprile 2022Il Tribunale di Catania con sentenza 21 novembre 2021 è intervenuto in ordine all’estensione del fallimento nei confronti dei soci degli amministratori di fatto individuati in chi ha agito per conto di un’associazione.
Ha rilevato, innazitutto, che “la regola generale del diritto civile è quella della responsabilità col proprio patrimonio solo per le obbligazioni personalmente assunte, di tal che la responsabilità per debiti altrui si profila come un’eccezione che deve essere espressamente prevista dal legislatore” e che “l’art.38 cc prevede la responsabilità per le obbligazioni dell’associazione di chi ha agito in nome e per conte dell’associazione“, mentre non connota quale illimitata la responsabilità del soggetto che agisce in nome e per conto della società, a differenza di quanto previsto dall’art.2291 cod. civ. per i soci della società in nome collettivo, dall’ art.2313 cod. civ. per i soci accomandanti delle società in accomandita semplice, e dall’art.2320, co. 1, cod. civ. per il socio accomandante che abbia violato il divieto di immistione negli atti di gestione,
Ha quindi ritenuto che la differenza lessicale tra le due norme lascia intendere “un diverso regime di responsabilità per debiti altrui: da un lato, quella del socio di società di persone per tutte le obbligazioni contratte dalla società senza alcuna limitazione; dall’altro, quella di chi ha agito in nome e per conto dell’associazione che risponde delle sole obbligazioni personalmente contratte” in conformità con la prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte: Cassazione civile sez. III, 14/05/2019, n.12714) secondo cui: “la responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta: – non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, ma all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (..); – non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione stessa; ne consegue che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per l’ente è inquadrabile fra quelle di garanzia “ex lege”, assimilabili alla fideiussione, ed è disposta a tutela dei terzi, che possono ignorare la consistenza economica del fondo e fare affidamento dulla solvoibilità di chi ha negoziato con loro (…)”.
Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale di Catania ha “ritenuto che il fondamento giuridico della domanda di estensione del fallimento a colei con regolarità ha speso il nome e agito per conto dell’associazione deve piuttosto rinvenirsi nella duplice considerazione per cui: da un lato, la sentenza dichiarativa di fallimento ha appurato l’espletamento di attività commerciale“, con conseguente -pur se implicita- riqualificazione della natura di tale ente quale società irregolare, perché non iscritta nel registro delle imprese (onere cui soggiace l’imprenditore commerciale ex art.2195 cc), pervenendo alla conclusione che “in difetto di assunzione di una delle vesti societarie che consenta di schermare la responsabilità dei soci- chi partecipa dell’attività sociale ricopre-nella sostanza- la qualità di socio di fatto di una società in nome collettivo irregolare“
Ha, pertanto, ritenuto che il fondamento della responsabilità per l’estensione del fallimento di chi con regolarità ha speso il nome e agito per conto dell’associazione deve “rinvenirsi nella duplice considerazione per cui: da un lato, la sentenza dichiarativa di fallimento ha appurato l’espletamento di attività commerciale da parte dell'[associazione], con conseguente -pur se implicita- riqualificazione della natura di tale ente quale società irregolare, perché non iscritta nel registro delle imprese (onere cui soggiace l’imprenditore commerciale ex art.2195 cc); dall’altro, nella circostanza che -in difetto di assunzione di una delle vesti societarie che consenta di schermare la responsabilità dei soci- chi partecipa dell’attività sociale ricopre -nella sostanza- la qualità di socio di fatto di una società in nome collettivo irregolare“.
Sulla base della “sistematicità e pervasività nella vita della società dell’attività compiuta- gli elementi offerti dalla curatela ricorrente consentono di affermare la qualità di amministratore di fatto in capo alla resistente, qualità -quella di amministratore- che nelle società di persone non può che essere attribuita ai soci (cfr. art.2257, 2266, 2297, 2318 cc)” estendendo il fallimento.