Le Sezioni Unite confermano la funzione distributiva e antindennitaria dell’azione revocatoria e sanciscono il mantenimento dell’originario privilegio del credito ex art. 70, secondo comma, L.F.
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Nel caso in esame una società era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni.
Approvata dai creditori la proposta di concordato, la domanda di omologa veniva, tuttavia, respinta dal tribunale, che contestualmente dichiarava il fallimento della società debitrice. A seguito del reclamo proposto dalla fallita la Corte d’appello revocava il fallimento ed omologava il concordato, dando così luogo all’apertura della sua fase esecutiva.
Nella pendenza della procedura fallimentare, un creditore presentava domanda di insinuazione al passivo per il credito chirografario, così bloccando il corso della prescrizione ai sensi dell’art. 94 L.F. per la durata della procedura. Una volta omologato il concordato preventivo – con conseguente revoca e chiusura del fallimento – e trascorsi dieci anni dalla chiusura del fallimento senza che dalla liquidazione dei beni ceduti in sede concordataria fosse conseguito alcun soddisfacimento dei creditori chirografari, la società in concordato chiedeva al giudice ordinario di dichiarare l’intervenuta prescrizione del credito chirografario, per decorso del termine.
Il Tribunale di Brescia con il provvedimento in commento ha respinto la domanda della società rilevando che, ai sensi dell’art. 2935 cod.civ., la prescrizione decorre soltanto dal momento in cui il diritto può essere esercitato e nel caso del concordato preventivo deve ritenersi che sono vincolanti per tutti i creditori, ex art. 184 L.F., non solo gli effetti remissori, ma anche le modalità di esecuzione del concordato previste nella proposta omologata, che nel concordato con cessione – quale quello in esame – di norma prevedono la figura del liquidatore giudiziale chiamato prima a liquidare l’intero patrimonio dell’impresa e poi a distribuire il ricavato nel rispetto della graduazione dei crediti e dei relativi piani di riparto.
Non potendo il creditore concordatario essere soddisfatto dal liquidatore a semplice richiesta, né agire esecutivamente sui beni oggetto della cessio bonorum, ne consegue che durante la fase di esecuzione del concordato il termine di prescrizione non può decorrere, in quanto il creditore non ha alcuno strumento per ottenere il pagamento di quanto dovuto, sia pure con la falcidia prevista nella proposta approvata.
Occorre tenere presente che tale provvedimento si pone in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 cod.civ., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, sicché l’ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni non impedisce il decorso della prescrizione, non essendovi alcun ostacolo per il creditore a formulare nei confronti del debitore ammesso alla detta procedura, istanze, solleciti ed atti cautelativi di costituzione in mora (Cass. sez. I, 31 luglio 2019, n. 20642).
La Corte, inoltre, da tempo afferma costantemente che, siccome il concordato preventivo mediante cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni, ma dei soli poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, ne consegue che l’art. 2941, n. 6), cod.civ. – in forza del quale la prescrizione resta sospesa tra le persone i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all’amministrazione altrui e quelle da cui l’amministrazione è esercitata – non è applicabile estensivamente ai rapporti tra debitore e creditori del concordato preventivo in questione, poiché la titolarità dell’amministrazione dei beni ceduti spetta esclusivamente al liquidatore, il quale la esercita non in nome o per conto dei creditori concordatari, ma nel rispetto delle direttive impartite dal tribunale (Cass., sez. I, 26 febbraio 2019, n. 5663; Cass. sez. I,10 febbraio 2009, n. 3270; Cass. sez. I, 3 agosto 2007, n. 17060).
La preclusione all’esperimento, da parte dei creditori anteriori, di azioni esecutive sul patrimonio del debitore che abbia chiesto il concordato preventivo, ai sensi dell’art. 168 L.F., ha effetto soltanto nella fase che va dalla presentazione del ricorso e «fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo». Se è vero che l’omologa fa cessare il vincolo processuale all’azione esecutiva individuale ma resta fermo il limite sostanziale derivante dall’esdebitazione e dall’obbligatorietà dell’accordo per tutti i creditori anteriori, tuttavia se il concordato rimane inadempiuto nella fase esecutiva e, in particolare, se non vengono rispettati i tempi di pagamento pattuiti, il creditore potrà sia presentare una domanda di risoluzione del concordato, sia agire in via di esecuzione forzata ed anche presentare direttamente una istanza tesa alla dichiarazione di fallimento del debitore in concordato – come hanno sancito, di recente, anche le Sezioni Unite della S.C. (Cass. S.U.,14 febbraio 2022, n. 4696) –, così esercitando in pieno la sua pretesa al soddisfacimento delle ragioni di credito vantate.
Alla luce di quanto esposto potrebbe forse convenirsi, in conclusione, in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che la prescrizione dei crediti decorra anche durante la fase esecutiva del concordato, perché il sistema accorda all’avente diritto, in caso di inadempimento del concordato, tutti gli strumenti idonei ad assicurare – anche attraverso l’apertura del concorso fallimentare – il soddisfacimento del suo credito.