Il socio illimitatamente responsabile di società di persone e datore di garanzia per la copertura dei debiti sociali può agire in regresso verso la società o gli altri soci
10 Marzo 2022Gli amministratori di società sono soggetti al conflitto di interessi ai sensi dell’at. 1394 cod. civ.
24 Marzo 2022La Corte di Cassazione con sentenza 14 marzo 2022, n. 8222 ha confermato e ribadito il proprio orientamento in merito alla tassabilità TARI delle aree in cui si producono rifiuti speciali.
Roicolelgandosi a propri precedenti, ha ricordato, innanzitutto, che secondo l’art.1 co. 641-642 l. 147/13: “641. Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva. 642. La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. (…)“.
La Cassazione ha quindi precisato che la “giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass.nn. 10010/19; 703/19; 4960/18; 4793/16 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti“.
Richiamando numerosi propri precedenti in merito, ha quindi precisato che tale tributo “è strutturato in una parte variabile ed in una parte fissa (d.lvo cit.), in modo che:
– il presupposto impositivo della parte variabile della tariffa (sempre che sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio di raccolta e smaltimento) va individuato nella produzione di rifiuti urbani o assimilati, ferma restando la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione di questa parte variabile nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti (art.49 co. 14 d.lgs 22/1997); per contro, la quota variabile della tariffa non è dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati, e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate;
– la parte fissa della tariffa è invece dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purchè effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività); si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (Cass.n. 5360/20 cit.; Cass.n. 7187/21 cit. ed altre)“.
Sulla base di tali argomenti ha cassato la decisione della CTR in quanto aveva provato in giudizio di produrre rifiuti speciali (imballaggi terziari), ma non aveva considerato “che:
a) la comprovata produzione di rifiuti speciali in una porzione (per quanto estesa) dell’insediamento produttivo non escludeva, né logicamente né giuridicamente, la produzione nello stabilimento ‘anche’ di rifiuti urbani ordinari; produzione che non doveva essere dimostrata ad onere dell’ente impositore, in quanto ex lege ricollegata al solo ed obiettivo fatto materiale della detenzione dei locali, secondo quanto su richiamato;
b) la prova della produzione di rifiuti speciali da parte della società contribuente, come riferito dalla stessa Commissione Tributaria Regionale, era stata comunque fornita con riguardo non alla totalità delle aree occupate, ma soltanto alla ‘gran parte’ di esse, il che poneva il problema (non considerato dal giudice di merito) di individuare con esattezza (con onere probatorio a carico della stessa società contribuente che intendeva in tal modo fruire del regime speciale di favore) le superfici esentate dall’imposizione in rapporto a quelle complessivamente detenute dalla società e normalmente produttive di rifiuti urbani ricompresi nell’ordinario ciclo di privativa comunale;
c) tanto la ‘gran parte’ delle superfici produttive di rifiuti speciali, quanto le residue aree occupate, strutturalmente e funzionalmente idonee alla produzione di rifiuti urbani ordinari, concorrevano senza riduzione o esenzione di sorta al pagamento della quota fissa del tributo, quanto – come detto – diversamente finalizzata“.