Atti riqualificabili solo senza ricorrere ad elementi extratestuali ovvero se l’Agenzia evidenzia gli elementi di un abuso di diritto, con le garanzie previste dall’art. 10-bis della legge 212 del 2000
16 Novembre 2021Assoggettabilità a Tarsu di un monastero di clausura ad eccezione delle aree di culto in senso stretto
9 Dicembre 2021Con la sentenza n. 36362 del 23 novembre 2021 la Corte di Cassazione, ha confermato i principi giurisprudenziali di legittimità in materia, con riferimento alla possibilità del socio amministratore di svolgere anche, in parallelo, una attività di lavoro subordinato.
Nel caso in esame l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza con cui la Commissione tributaria regionale della Sardegna, in accoglimento dell’appello proposto dalla società contribuente, annullava uno dei rilievi dell’avviso di accertamento ritenendo inerenti e deducibili i compensi da lavoro subordinato corrisposti dalla società ai propri soci amministratori.
Investita della questione la Corte di Cassazione ha, in primo luogo, ribadito il proprio orientamento secondo il quale è del tutto compatibile la posizione di socio/amministratore di società di capitali con quella di lavoratore subordinato della stessa, tuttavia tale compatibilità è esclusa nei casi di amminitratore unico, presidente del Consiglio di Amministrazione o socio “sovrano”.
Sulla base di tale principio è stato affermato che la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, qualora il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio alle direttive ed al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci.
In mancanza di tale assoggettamento, l’osservanza di un determinato orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione non sono sufficienti da sole a far ritenere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Nel caso di specie uno dei soci rivestiva la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione, mentre l’altro godeva di autonomia decisionale.
Nel primo caso, la Corte ha stabilito che sussiste “assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni che è necessaria perché sia riscontrabile l’essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente”.
Quanto al secondo caso la Corte ha precisato che la compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, con quella di lavoratore subordinato, ai fini della deducibilità del relativo costo dal reddito di impresa, non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece “accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica, del potere direttivo e di quello disciplinare e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita”.