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26 Novembre 2021Con Ordinanza 2 novembre 2021, n. 31002 la Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sulla portata dell’art. 20 del TUR nella formulazione recata dalla Legge 205 del 2017, che, in base all’articolo 1, comma 1084 della legge 145/2018, ne ha fornito l’interpretazione autentica.
La Corte di Cassazione ha precisato, al riguardo, che ai “sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, come modificato dalla L. n. 205 del 2017, articolo 1, comma 87, e dalla L. n. 145 del 2018, articolo 1, comma 1084, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione deve avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali“, ritenendo superata ogni diversa lettura fatta in passato anche dalla stessa Corte Suprema.
Viene rilevato anche che la Corte Costituzionale “ha osservato che l’esclusione dalla rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali e degli atti collegati, disposta dal legislatore con i menzionati interventi normativi del 2017 e 2018, non si pone in contrasto con i parametri costituzionali. Infatti, “il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalita’, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico”, salvaguardando “la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico” e che “che l’interpretazione evolutiva dell’articolo 20, incentrata sulla nozione di causa reale, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, in quanto “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale”.
E’ stata, quindi, ribadita la piu’ recente giurisprudenza della Cassazione che è “orientata nel senso che: “In tema di imposta di registro, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20 – nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017 che, secondo l’articolo 1, comma 1084, della L. n. 145 del 2018, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte Cost. n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021 – e’ legittima l’attivita’ di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intriseco”, cioe’ senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto” (Cass. n. 10688/2021; Cass. n. 9065/2021)“.
La riqualificazione dell’atto, pertanto, non è “di per se’ a far rilevare una forma di abuso del diritto o di elusione fiscale, ai sensi della L. n. 212 del 2000, articolo 10-bis, trattandosi di ipotesi estranea alla ermeneutica dell’atto da registrare“, in quanto in in tali casi l’azione accertatrice “si deve attuare mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullita’ – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente puo’ fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia”.