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I “termini d’uso” previsti dall’art. 67, comma 3, lett. a) L.Fall. si riferiscono ai pagamenti e non ai servizi

Studio legale tributario Sgaravato - Verona

La Corte di Cassazione civile, sez. I, 07 luglio 2021, n. 19373 si è nuovamente pronunciata sul significato di “termine d’uso” di cui all’art. 67 comma 3, lett. a) L. Fall.

Con tale decisione è stata effettuata una puntuale analisi lessicale della norma rilevando che, “nonostante la discutibilità della morfologia, il tenore letterale della norma in esame risulta tutt’altro che ambiguo, dal momento che a) nell’ambito della proposizione dettata dal legislatore, il soggetto non è rappresentato dalle “forniture” (sostantivo, anzi, del tutto assente), bensì dai “pagamenti”, b) il participio passato “effettuati” svolge la funzione di predicato, normalmente riferibile al soggetto, c) i beni e i servizi svolgono invece la funzione di complemento partitivo, destinato ad individuare i pagamenti esenti da revocatoria tra tutti quelli eseguiti dall’imprenditore nel periodo sospetto, d) da punto di vista lessicale, inoltre, il verbo “effettuare” si addice certamente ai servizi, ma non è in alcun modo riferibile ai beni, i quali non si “effettuano”, ma si “forniscono”, “cedono”, “vendono”, etc., e) in quanto collegata al predicato “effettuati”, a sua volta riferibile ai “pagamenti”, la locuzione “nei termini d’uso” non può dunque avere riguardo che a questi ultimi, e non già ai “beni e servizi”“.

Ha quindi ribadito che, come già precisato in uno dei suoi precedenti, “l’esenzione prevista dall’art. 67, comma 3, lett. a) della L. Fall. si configura come una eccezione alla regola secondo cui sono revocabili gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali nel periodo sospetto, ed ha come effetto l’esclusione della revocabilità di quelli eseguiti in tempi e con modalità diversi da quelli contrattualmente previsti, ma corrispondenti a pratiche commerciali precedentemente invalse tra le medesime parti (cfr. Cass., Sez. I, 7/12/2020, n. 27939, cit.)“.

Il riferimento ai termini d’uso contenuto nella norma, pertanto, “svolge la funzione di escludere dalla tutela tutti quei casi in cui il mancato rispetto della prassi commerciale precedentemente adottata risulta idonea ad evidenziare il venir meno della correttezza di rapporti ed il possibile approfittamento della situazione di difficoltà del debitore“.

La Suprema Corte, quindi, ha confermato il principio di diritto già enunciato, “secondo cui, in tema di revocatoria fallimentare, ai fini dell’operatività dell’esenzione prevista dall’art. 67, comma 3, lett. a) della L. Fall., l’espressione “termini d’uso”, utilizzata per individuare i pagamenti di beni e servizi non soggetti all’azione revocatoria, non si riferisce alle forniture che costituiscono oggetto del pagamento, ma ai pagamenti stessi, i quali risultano quindi opponibili alla massa dei creditori, anche se eseguiti ed accettati difformemente dalle previsioni contrattuali, purché siano stati effettuati secondo tempi e modalità corrispondenti a quelli che hanno caratterizzato il rapporto tra le parti nel suo concreto svolgimento. In quest’ottica, essendo l’operatività dell’esenzione”.

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