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10 Novembre 2021La Corte di Cassazione, con ordinanza 2 novembre 2021, n. 31002 è intervenuta sulla portata dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 ricostruendone la portata alla luce della recente giurisprudenza della Consulta 21 luglio 2020, n. 158, precisando le condizioni perché possa ritenersi sussistente un abuso del diritto ai sensi dell’articolo 10-bis dello statuto del contribuente.
Con riferimento agli interventi legislativi sull’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, la Cassazione precisa che “il legislatore, con un intervento ritenuto conforme ai parametri costituzionali, ha voluto imporre una interpretazione isolata dell’atto da sottoporre a registrazione, fondata unicamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo così la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, la quale colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto”.
Richiamandosi alla propria più recente giurisprudenza, ha ribadito l’orientamento “che: “In tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 – nella formulazione successiva alla I. n. 205 del 2017 che, secondo l’art.1, comma 1084, della I. n. 145 del 2018, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021 – è legittima l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intriseco”, cioè senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto” (Cass. 10688/2021; Cass. 9065/2021)“.
Con tale Ordinanza è stato anche precisato che non può dirsi che “la riqualificazione sia diretta di per sé a far rilevare una forma di abuso del diritto o di elusione fiscale, ai sensi dell’art. 10-bis, legge n. 212 del 2000, trattandosi di ipotesi estranea alla ermeneutica dell’atto da registrare. L’azione accertatrice, in tali casi, si deve attuare mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullità – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia. Pertanto, se una diversa lettura dell’art. 20, DPR. n. 131 del 1986, così come risulta autenticamente interpretato dal legislatore, non appare più consentita dopo la sentenza n. 158/2020 della Corte Costituzionale, ove ricorra l’abuso del diritto, mediante l’applicazione dell’art. 10 bis dello Statuto del Contribuente, stante l’espresso richiamo contenuto nell’art. 53 bis, d.p.r. n. 131 del 1986, si richiede, per superare la qualificazione formale dell’atto, la prova dell’illegittimo risparmio fiscale, oltre che il rispetto delle garanzie procedimentali di cui si è detto (Cass. 10688/2021)“.